Ludovico Einaudi, “Nuvole Bianche”.

Il posto vuoto

Di Federica Frallonardo

Lea guarda il cielo a fine giornata e si sente finalmente in pace. Le nuvole giocano a nascondino con il sole prima del tramonto e l’aria è calma, densa di soddisfazione. Si può godere il momento e basta, dirsi che la giornata ormai è andata, quel che doveva essere è stato. Va bene così. Senza più corse e affanni riesce quasi a non pensare a nulla.


È seduta su una sedia a sdraio con i piedi appoggiati sulla ringhiera, sul tavolino a fianco c’è un succo di frutta, l’ha portato sul balcone insieme alle sigarette e l’accendino, ma non l’ha ancora nemmeno sfiorato.
Ha la testa appoggiata e gli occhi rivolti al cielo guardano scorrere le nuvole veloci. Accende la sigaretta, aspira piano. Dopo qualche minuto alza la testa e si concentra sulla casa di fronte al suo palazzo, osserva le finestre una ad una, andando dal primo al quinto e ultimo piano. Vede qualche luce accendersi, una persona che esce per ritirare dei panni stesi, un cane che gratta la porta per farsi aprire. Si perde nei dettagli degli altri e si dimentica che era uscita per godersi il tramonto, l’ha perso quasi tutto, e il vento si è rubato mezza sigaretta. Schiaccia il mozzicone nel posacenere e beve velocemente mezzo bicchiere.
È arrivata l’heure bleue, l’ora in bilico, anche questa le piace, il particolare blu del cielo quando il sole è appena sparito. Il momento in cui si accendono timidi i primi lampioni.

Lea si alza dalla sedia e si appoggia alla ringhiera, ora osserva le auto e l’asfalto dall’alto, si sente privilegiata, come ad avere una vista speciale, parallela. Immagina di poter salire sempre più in alto e perdere pian piano i dettagli, ma guadagnando chiarezza.
Sente le gambe stanche, la giornata è stata lunga e ha camminato tanto su e giù per il centro storico accompagnando turisti, la sua città piace molto in primavera.
Vede un’auto che passa veloce, una bici che rallenta ed entra in un portone, due ragazzine che ridacchiano guardando il telefono.
Accende un’altra sigaretta e questa volta la assapora piano, concentrandosi sul crepitio della brace che sfrigola di fronte al naso.
Tira fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e vede un fastidioso numerino rosso sull’icona delle e-mail. Apre e inizia a cancellare tutto, è solo spam, come sempre. C’è un oggetto però, “Affrettati, il tuo buono scade domani” che sembra meno assurdo e finto del resto, ci clicca sopra e effettivamente è davvero un buono, da 50€, è davvero suo e pare sia davvero in scadenza. È di un marchio artigianale di prodotti di bellezza, il regalo di Natale della sua azienda confezionato insieme ad un’agenda troppo rossa e troppo piccola per essere utile a una guida turistica. Il buono era inizialmente sembrato un bel regalo, ma presto Lea e i suoi colleghi si erano accorti che, dei prodotti in vendita su quel sito, con 50€ ne compravi forse mezzo e se anche ci fosse stato qualcosa di accessibile, al momento dell’acquisto veniva aggiunta una fastidiosa spedizione da 7,90€. Lea lo aveva dimenticato dopo poco tempo. Torna per l’ennesima volta sul sito dei prodotti, li scorre in ordine di prezzo, cerca di fare delle combinazioni per ottenere qualcosa di utile senza pagare la spedizione, ma il risultato è lo stesso dei mesi precedenti, al momento di concludere l’acquisto si chiede perché sta per spendere dei soldi se si tratta di un regalo.
Chiude il sito e cancella la mail.

Torna a fumare e a concentrarsi sul buio che la abbraccia sempre più stretta insieme a un’aria più fresca.
Lo sguardo è sempre catturato verso il basso, nella via perpendicolare alla sua, una macchina ha frenato all’improvviso e cerca di parcheggiare, ma sembra abbia qualche difficoltà. Il posto non è molto largo, è vero, ma a Lea sembra lo stesso esagerato fare così tante manovre e segue appassionata la scena. Una volta incastrata l’auto decentemente, qualcuno ne esce controllando avanti e dietro la distanza lasciata. Poi goffamente si infila sul sedile per recuperare prima uno zaino, poi una borsa e finalmente chiude la portiera. Ha la chiave in mano, schiaccia il pulsante con convinzione, fa qualche passo. Si volta ancora verso l’auto. Le luci sono accese. Torna indietro, riapre l’auto, riapre lo sportello, guarda il quadrante. Lea non perde un passaggio. La scena di qualche secondo prima si ripete praticamente identica: il bip della chiave, i passi dubbiosi, e la testa che si volta per controllare. Anche se quella persona è lontana è quasi come se Lea potesse sentire i suoi pensieri, percepisce chiaramente nei movimenti la perplessità e l’incertezza di quei fari che non si spengono nonostante sia certa di aver chiuso l’auto e spento tutto quello che c’era da spegnere. È a una decina di metri di distanza dall’auto, sul marciapiede, e Lea vede o immagina quella persona scrollare la testa e alzare le spalle, per poi riprendere il cammino mettendo una mano in tasca.
Lea continua a osservare, dalla tasca del ragazzo è uscito qualcosa insieme alla mano e al telefono ed è caduto per terra. L’istinto è quello di urlare “Ehi, scusi, le è caduto qualcosa dalla tasca”, sta per aprire la bocca, ma si blocca subito, lui è troppo lontano e lei troppo in alto. Lui nel frattempo è arrivato all’angolo della strada, si volta a guardare l’auto, e in quel momento, strappando un sospiro di sollievo a tutti gli spettatori, i fari dell’auto si spengono.
Accartoccia il mozzicone nel posacenere e finisce il succo di frutta, sempre con gli occhi sulla strada. È combattuta, ha chiaramente visto una persona perdere qualcosa, ma non sa cosa fare. Non è per strada con la possibilità di raccoglierlo, non sa come ritrovare quella persona, ma soprattutto non ha idea se la cosa persa possa essere importante o no. Sembrerebbe di carta, una lettera, o un foglio ripiegato, potrebbe essere di tutto o solo un volantino inutile che chiunque sarebbe contento di aver perso inconsciamente.

È iniziata la sera, l’aria ora è proprio fredda per stare solo con la t-shirt e il buio è padrone del cielo se non per una sottile striscia all’orizzonte. La mente di Lea è ancora attaccata a quel pensiero, a quel foglio di carta, mentre rientra in casa. Quasi senza accorgersene si sta mettendo la giacca e le scarpe da ginnastica, e trovata una scusa per sé stessa al volo, esce nuovamente sul balcone per prendere due sacchi con la differenziata di carta e plastica.
Scenderà a buttare l’immondizia e passerà a vedere che cosa ha perso quel ragazzo, le sembra un buon piano. Giusto per essere serena e non avere sulla coscienza qualcosa di importante: una bolletta in scadenza, una multa, un premio da ritirare, una lettera che aspettava da tempo.

Ha messo la giacca a vento direttamente sopra la t-shirt, ha freddo alle braccia e le sembra di navigarci dentro. Dopo aver buttato tutto, ripassa davanti al portone di casa sua con passo svelto e circospetto, lo oltrepassa, arriva al fondo della via, attraversa la strada e guarda sul marciapiede davanti a lei. Non c’è quasi nessuno in giro, nessuno su quel pezzo di strada, si sente più tranquilla a raccogliere una cosa da terra.
Vede il foglio bianco, si avvicina, lo raccoglie. È una busta.
Ci sono due cose che spingono Lea a guardarci dentro: la busta è già stata aperta e sopra brilla in viola il logo della ditta di creme costose!
La prima è una tacita autorizzazione dell’universo a farsi gli affari di uno sconosciuto, la seconda un segno del destino, non può essere un caso.
Lea guarda nella busta, giusto per avere una conferma che sia davvero qualcosa di quel marchio.
Dispiega il foglio all’interno, è una pubblicità di vari prodotti, sconti da spendere online e l’annuncio di un punto vendita fisico in prossima apertura. È una coincidenza così piccola e al tempo stesso così precisa che Lea ne rimane affascinata. Pensa al perché quella busta fosse nella tasca del ragazzo e non in un cestino neanche aperta. Lo immagina esplorare il sito, stupirsi dei prezzi dei prodotti come aveva fatto lei pochi minuti prima. Immagina una connessione, una condivisione di pensieri e azioni. Arriva addirittura a figurarsi la scena di un incontro, all’inaugurazione del negozio, lei che lo vede entrare incerto con la busta in mano in un posto pieno di luci e palloncini.
È solo una pubblicità, eppure se quel tizio l’aveva tenuto in tasca sarà stato importante, o in tutti i casi vagamente utile. Sulla busta non c’è né un nome né un indirizzo, deve essere una di quelle pubblicità infilate in massa in tutte le buche delle lettere.
È passato qualche minuto e lei è rimasta lì con il volantino in mano in mezzo al marciapiede deserto.
In fondo non sarebbe un bellissimo modo per conoscere qualcuno?
Si sente le mani sudate e il resto del corpo freddo, la mente che corre avanti e indietro, ondeggiando tra fantasie romantiche e cinici ritorni alla realtà.
Il cielo ormai è completamente buio, si intravede qualche timida stella tra il fascio dei lampioni. Lea tira la cerniera della giacca fino in fondo, sollevando il collo e lasciandosi scuotere da un brivido, si avvicina all’auto. Alza un tergicristallo e pinza sotto la busta, si allontana di un passo, sente un altro brivido. Cerca una penna nello zainetto che ha preso al volo prima di uscire. Quando esce solo per buttare la spazzatura di solito non ha altro che le chiavi.
Recupera la busta e appoggiandosi sul cofano scrive di getto due righe, poi rimette la busta sotto il tergicristallo e torna al suo portone a passo svelto e una lieve eccitazione, come quando da bambini si suona ad un citofono e poi si scappa.

È passata qualche ora, Lea esce nuovamente sul balcone, ha una felpa pesante e una sciarpa. È stata una serata strana, stanca e senza voglia di cucinare si è concessa una pizza con consegna a domicilio. Si accende una sigaretta e pensa che ormai potrebbe fumare dentro senza dar fastidio a nessuno. Sono mesi che lui se n’è andato e ancora esce a fumare per non dargli fastidio. Scaccia via il pensiero insieme alla cenere che ondeggia nel vuoto e lo sguardo va su quell’auto parcheggiata in mezzo a tante, sulla quale spicca un rettangolo bianco. Sembra quasi illuminata quella busta, in contrasto con il buio attorno. Lea ripensa a cosa ha scritto su quel foglio e le vengono in mente almeno altre cento frasi che sarebbero state più opportune, in tutte le nuove versioni non avrebbe mai lasciato il suo numero di telefono.

La mattina del giorno seguente le nuvole sono sparite, portate lontano dal vento che ha soffiato forte tutta la notte, l’aria è fresca e si respira meglio in città. Lea si è svegliata presto anche se la sua prima visita sarà in tarda mattinata. Al contrario della colazione frettolosa che fa di solito, è di nuovo sul balcone a sorseggiare il caffè da un tazzone che tiene con entrambe le mani. Si sente bene, piena di speranza e buoni propositi come ci si può sentire solo all’inizio della primavera.
L’auto non c’è più, e niente ha sostituito quel posto vuoto.
Lo sguardo di Lea spazia e inciampa tra genitori ritardatari con bambini per mano e auto che escono dai parcheggi. Tutto è intento ad iniziare.
Finito il caffè rientra in casa e recupera il telefono nascosto fra le coperte del letto ancora disfatto. C’è un messaggio.

“Ciao, ieri ho prestato l’auto a un amico, non è mia questa busta, ma gliela darò. Grazie”.


Federica Frallonardo
Nasce e vive a Torino, ama la sua città soprattutto nei cambi di stagione e quando la percorre in bicicletta. Di lavoro stampa cose in serigrafia, nel resto del tempo fa esperimenti in cucina e scrive racconti. Dei racconti brevi la affascina siano semplici e complessi al tempo stesso, che possano arrivare a tutti con l’immediatezza di una fotografia, ma solo ai più attenti rivelino tutto.