Gaetano consiglia di leggere ascoltando: AC/DC, Highway to Hell.
SOSTA
Di Gaetano Russo
«La sai quella del prete che entra in un bordello?» chiese Tom.
«Cos’è, un’altra barzelletta?» disse il vecchio seduto dietro.
«Eh.»
«Se dico di sì?»
«Te ne racconto un’altra.»
«Tanto sono tutte sceme.»
«Quella dell’indiano che entra in un bar no.»
«Hai ragione, quella è più scema delle altre.»
«Possiamo fermarci?» chiese la ragazzina accanto a Tom.
«Di nuovo?» fece il vecchio.
«Ho fame.»
«Dovrebbe esserci una stazione di servizio», fece Tom. «Ho visto un cartello, poco fa.»
L’asfalto era una lingua morta che tagliava in due il grano ai lati della strada, come la riga al centro di una folta capigliatura. Filari alti come Watussi.
Quel paesaggio iniziava a stancare Tom. Per non parlare dei programmi alla radio: solo predicatori e musica country. Svoltò più avanti e discese la rampa.
Il parcheggio della stazione di servizio era grande come un francobollo. C’erano due auto e una moto parcheggiate di fronte all’ampia vetrata della tavola calda. Si vedevano gli avventori all’interno del locale, seduti ai tavoli e al bancone.
Tom parcheggiò. Lui e il vecchio smontarono.
«Una vera bellezza», disse il vecchio.
«Di che parli?» chiese Tom aggirando il muso della giardinetta.
«’Sta moto qua.»
«Non mi fido di quegli aggeggi.»
Tom aprì la portiera del passeggero e la ragazzina smontò.
«È più sicura di ’sto catorcio che ci porta a spasso», disse il vecchio.
«Non offendere Lucille.»
«E piantala di chiamarla così. Mi fa incazzare.»
Tom chiuse la portiera. «È il suo nome.»
«Stupido bidone di merda, è così che si chiama.»
Tom carezzò il muso della giardinetta e mormorò con affetto: «Non starlo a sentire. È un po’ geloso, ma in fondo è un buon cristiano.»
«Come fai a essere così scemo?»
«Talento naturale», disse Tom.
Guardò l’orologio al polso. «Meglio fare quella telefonata.»
«Farsi un cellulare no, eh?»
Tom lo ignorò, si ficcò una mano in tasca e prese gli spiccioli. Li distribuì sul palmo col dito, contandoli.
«Se vuoi posso entrare e girare col piattino», disse il vecchio.
«Sta’ zitto, che perdo il conto.»
Aggirò il locale e raggiunse il telefono a gettoni accanto ai bagni esterni. Inserì le monete e chiese alla voce all’altro capo di parlare con Gladys Perkins di Carterville. Due squilli e un click. Una voce tremula disse: «Pronto?»
«Signora Perkins, sono Tom Wilde.»
«Stavo giusto pensando a lei.»
«Devo averle letto nel pensiero, allora.»
«Sa fare anche questo?»
«No, signora, era una battuta», disse Tom e pensò: forse il vecchio ha ragione, a forza di fare il pagliaccio iniziano a prendermi sul serio. «Ho chiamato per dirle che stiamo arrivando. Abbiamo fatto una piccola sosta.»
«Dove siete?»
Da qualche parte in mezzo al niente, pensò Tom e rispose: «Una stazione di servizio. Si chiama…» Mollò il ricevitore e si allontanò di qualche passo per sbirciare l’insegna del locale. Riprese il ricevitore. «… Glady’s.»
«Lo conosco. Siete vicini. Continuate per qualche miglio. Quando vedete una cassetta delle lettere a forma di casetta siete arrivati.»
«D’accordo. A dopo, allora.»
«Signor Wilde?»
Tom, che stava già posando il ricevitore, se lo riportò all’orecchio. «Sì?»
«Fate presto, ha ricominciato e sembra molto arrabbiato. Di sopra trema tutto.»
«Forse ha saputo che stiamo arrivando.»
«E come ha fatto?»
«Alcuni sono energia intelligente. Il suo deve essere di quella categoria. L’avrà sentita parlare del fatto che voleva liberarsi di lui e si sarà incavolato.»
«Gesù…»
«Non si preoccupi, tra poco siamo lì e sistemiamo tutto. Se si mette male esca di casa e ci aspetti in veranda.»
Tom mise giù. Tornò alla giardinetta e scoprì che il vecchio e la ragazzina erano spariti. Sbirciò oltre la vetrata e li vide seduti a un tavolo. Il vecchio si girò, lo vide e gli rivolse un cenno. Tom entrò – la campanella sospesa sulla porta trillò – e camminò spedito fino al tavolo.
«Non vi avevo detto di aspettarmi?» chiese indispettito.
«Ha iniziato a menarmela con la storia che aveva fame, e lo sai com’è quando si incazza», fece il vecchio.
Tom guardò la ragazzina. Stava seduta compita, le mani sulle cosce. Il vestito a fiori metteva in risalto il pallore del viso. Le margherite giallo pallido sembravano sul punto di schiattare.
«D’accordo», fece Tom, e prese posto accanto alla ragazzina. «Ci siamo quasi. Una manciata di miglia ancora.»
Una cameriera si avvicinò. «Volete ordinare?» chiese.
«Se ci porta un menù, così ci facciamo un’idea…» disse Tom.
La cameriera lo gratificò di un sorriso e si allontanò.
«Mica male», fece Tom guardandola sculettare via.
«Calma i bollori, cowboy», disse il vecchio.
«Mi ha sorriso.»
«Si chiama cortesia.»
La cameriera tornò coi menù. Ne offrì uno a Tom e uno al vecchio.
«Grazie», fece Tom. Lei gli sorrise e andò via. «Secondo me è cotta.»
«Seh, come no», fece il vecchio e prese a spulciare il menù.
Decisero per un hamburger.
«E per te?» chiese la donna, chinandosi verso la ragazzina.
Tom e il vecchio si scambiarono un’occhiata. La ragazzina guardava dinanzi a sé. Il sorriso sul volto della cameriera si appiattì.
«È sorda», disse di slancio il vecchio.
La cameriera si coprì la bocca con la mano. «Oddio, mi spiace… che figura.»
«Ci porti solo gli hamburger», disse Tom.
«Voglio le patatine», fece la ragazzina.
«Sappiamo entrambi che non le mangerai.»
«Voglio le patatine.»
«Non le dia retta, ci porti…»
«Voglio le patatine!» urlò la ragazzina.
Le luci del locale balbettarono, la campanella sospesa sulla porta trillò stizzita e la tv sospesa in un angolo si riempì di neve. Tutti i presenti smisero di fare quello che stavano facendo e guardarono per aria. La cameriera fece un passo indietro, le mani premute sul seno. Fissava il viso della ragazzina, pallido e incorniciato tra due trecce nere che scendevano fin sulle cosce. I neon ammiccarono un’ultima volta e si stabilizzarono, la campanella si azzittì, la neve in tv si disperse e la tipa del notiziario riprese a snocciolare le tragedie del giorno.
«Aggiunga le patatine», fece il vecchio e si sforzò di sorridere.
La cameriera guardò ancora la ragazzina – sempre impegnata a fissare davanti a sé –, girò i tacchi e filò via.
«La vede», mormorò il vecchio.
«Ho notato», fece Tom.
«Sono l’unico a trovare la cosa strana?»
«Prima o poi doveva capitare.»
A servirli fu un’altra cameriera, bassa e tracagnotta, con i capelli rossi raccolti in una crocchia e una faccia come quella di un bulldog. Posò gli hamburger sotto il naso dei due uomini, le patatine nel mezzo del tavolo e se ne andò.
«Le tue patatine», disse il vecchio.
«Non ho più fame», fece la ragazzina.
«Che novità», borbottò Tom.
Ne prese lui una manciata con fare scocciato, aprì il panino con l’hamburger e ce la schiaffò dentro. Diede un morso e masticò, ma senza troppo entusiasmo. Mandò giù il boccone e si rivolse al vecchio.
«Ho pensato a quello che mi hai detto e mi sa che hai ragione.»
«Mi fa piacere», disse il vecchio. Fece per addentare il panino, ci ripensò e lo mise giù. «Cos’è che ti ho detto?»
«Che a fare il pagliaccio a tempo pieno finisce che ci divento sul serio.»
Raccontò la telefonata. Il vecchio raschiò una risata dal fondo della gola.
«L’ha capito, la bacucca, che non siamo un ente benefico?»
«L’ha capito. Quando ci ho parlato la prima volta sono stato molto chiaro», fece Tom.
«Uno spende un bidone di dollari per fare uno spot in tv…» disse il vecchio e scosse la testa.
Mangiarono e chiesero il conto.
Quando Faccia da Cane glielo portò, Tom le chiese in prestito una penna.
«A che ti serve?» chiese il vecchio.
Tom lo ignorò. Prese il fazzoletto che non aveva usato, lo spiegò e ci scrisse sopra qualcosa. Faccia da Bulldog lo osservò con un cipiglio che era tutto un programma.
«Grazie», fece Tom.
Restituì la penna a Faccia da Cane, che girò i tacchi e portò il suo cipiglio a un altro tavolo.
«Allora?» chiese il vecchio.
«Allora che?» fece Tom.
«Cos’è quella roba?»
«Il numero di telefono della signora Perkins.»
«E a che ti serve?»
«Voglio darlo alla cameriera.»
«Per far che?»
«Così mi chiama e usciamo insieme quando finisce il turno.»
«Non mi sembra il tuo tipo.»
«Invece è proprio sputata.»
«Un comodino coi capelli rossi e la faccia da carlino? Scusa se te lo dico, ma hai dei gusti di merda.»
«L’altra cameriera.»
«Con quella non hai speranze, meglio se ti butti su Faccia da Cane.»
Tom si ficcò una mano in tasca, prese un paio di banconote stropicciate, le mollò sul tavolo e si alzò. Il vecchio e la ragazzina lo seguirono. Raggiunsero la cassa. La cameriera snella e carina stava battendo sui tasti. Alzò il viso, vide Tom e sorrise con un certo sforzo. Tom le allungò il fazzoletto. Lei ci buttò un occhio, quindi sollevò lo sguardo e fissò Tom con aria interrogativa.
«Il mio numero», fece Tom. «Cioè, non è mio, è quello di una tizia che abita nei paraggi. Una cliente. E visto che resto in zona fino a domani, ho pensato che quando finisci il turno possiamo vederci e… che so, berci una birra.»
Il sorriso incerto della cameriera vibrò e quasi svanì. «Non credo sia il caso», disse.
«Se non ti piace la birra, possiamo…»
Il vecchio si defilò sorridendo mentre Tom agonizzava. Raggiunse l’ingresso, aprì la porta, aspettò che la ragazzina uscisse e la seguì. Attese accanto alla giardinetta.
Tom lo raggiunse quasi subito.
«Com’è andata?» fece il vecchio.
«Sali in macchina», sibilò Tom.
Montarono e ripartirono verso casa Perkins.
Gaetano Russo
Ha 38 anni e collabora con testate giornalistiche per le quali scrive di musica e spettacolo. Nel corso degli anni ha intervistato attori e cantanti come Riccardo Fogli, Anthony Delon e altri. Nel tempo libero scrive narrativa weird e fantasy. I suoi romanzi sono su AMAZON sotto lo pseudonimo di “John Russo”.
Scrivi un commento